mercoledì 27 febbraio 2019

Irregolare la rimozione dei rifiuti in Via di Salone: tre comunali a processo


Una notizia che potrebbe lasciare sconcertati, se fossimo in un Paese civile, se fossimo in uno stato di diritto. Ma pare che a Roma il vizietto non se lo sia tolto ancora nessuno ed il malcostume continua a fare da padrone nei meandri della pubblica amministrazione. Si parla del campo rom di Via di Salone, nel quale la gestione dei rifiuti non è stata proprio regolare. Lo sanno bene gli abitanti delle zone limitrofe, Ponte di Nona e Colle degli Abeti in primis. Via di Salone è un'isola di illegalità a cielo aperto. Un'isola da dove si sprigionano fumi tossici costantemente; un'isola dove a governare non c'è la legge dello Stato, ma quella del più forte, quella delle bande tribali, quella delle caverne.  
Roma, bonifiche e rifiuti nel campo rom. Il pm: tre funzionari comunali a processo
L’accusa: procedura «gravemente irregolare» per la rimozione dei rifiuti in via di Salone costata al Comune 260mila euro. Nei guai «la zarina» e un vigile
di Giulio De Santis tratto da roma.corriere.it 
Per la bonifica «gravemente irregolare» dei rifiuti nel campo rom di via di Salone, costata al Comune 260 mila euro, tre funzionari del Campidoglio e un vigile urbano rischiano il rinvio a giudizio con l’accusa di truffa ai danni dello Stato come chiesto dal pm Laura Condemi. A rischiare il processo sono, innanzitutto, due dirigenti ancora adesso ai vertici dell’amministrazione capitolina. Si tratta di Ivana Bigari, attuale direttrice dei Servizi di supporto al sistema educativo e scolastico, e Vito Fulco, anche lui collocato presso il medesimo dipartimento, dove è a capo dell’ufficio delle relazioni con il pubblico.
 Le loro responsabilità, secondo la procura, risalgono al 2014 quando hanno ricoperto ruoli apicali nel dipartimento delle Politiche sociali. La Bigari come direttrice e Fulco come funzionario amministrativo. Davanti a un giudice potrebbe finire anche Emanuela Salvatori, ormai ex dirigente, nota nei corridoi del Campidoglio come «la zarina». Questo è l’ennesimo guaio giudiziario in cui incappa la Salvatori, arrestata nel giugno del 2016 con l’accusa (corruzione) di aver intascato mazzette inerenti alla gestione dei campi rom quando ha lavorato nel dipartimento diretto dalla Bigari. Nella lista degli imputati figura anche Eliseo De Luca, vigile urbano, all’epoca con funzioni di controllo esterno proprio presso il campo di via Salone.
Infine il pm ha chiesto il rinvio a giudizio dei due titolari delle aziende che, secondo l’accusa, hanno ottenuto i benefici della truffa. Si tratta di Salvatore Di Maggio, presidente del consorzio cooperativa sociale Alberto Bastiani Onlus e Paola Lucioli, rappresentante legale della società Ecoservice Impianti. Nel procedimento si costituirà parte civile la società Tecnoservizi, assistita dall’avvocato Filippo Valle. Le anomalie, per la procura, risalgono al 2014. Periodo in cui la gestione dei rifiuti nel campo nomadi in via di Salone è assegnata alla Onlus. Che — secondo l’accusa — per ottenere l’affidamento diretto dell’attività, saltando il bando pubblico, sostiene l’urgenza dei lavori di bonifica. Presupposto tuttavia assente come ben saprebbero, per il pm, i dirigenti capitolini. La Bigari, però, firma le direttive di affidamento diretto dei lavori, Fusco attesta il regolare svolgimento delle bonifiche e la Salvatori, infine, appone i visti.
 Procedura irregolare, secondo l’accusa, perché i funzionari sarebbero consapevoli che sulle loro scrivanie sono depositati preventivi di spesa per lavori di bonifica diversi da quelli effettuati. Eppure, secondo la ricostruzione del pm, lasciano correre. Anzi danno il via libera alla liquidazione delle prestazioni. La Onlus riceve 161mila euro, mentre alla Ecoservice, a cui la Onlus subappalta una parte delle opere, vengono corrisposti 97mila e 815euro. Falsi sarebbero anche i contenuti dei formulari dei rifiuti. Secondo gli atti, al Comune per quel periodo risulta lo smaltimento di 75.380 chili di rifiuti, mentre i gestori dell’impianto sostengono di averne consegnati 44.000. Discrepanze che, secondo la procura, soltanto il processo aiuterà a chiarire.

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