Roma Est e Sud-Est. Roma non è una zona sismica, non ci sono rischi
che sotto la Capitale possa svilupparsi l’epicentro di un terremoto. Ma è
l’onda sismica a preoccupare. La mappa dell’Istituto Nazionale di
Geofisica e Vulcanologia, infatti, non fa dormire sonni tranquilli ai
romani. La città eterna in questi anni si è allargata tantissimo in
termini di territorio, e l’aggiornamento delle tecniche di rilevazione
ha spaccato in due la città in termini di mappa del rischio. Da San
Basilio all’Eur, passando per Tiburtino, Prenestino, Collatino,
Tuscolano, il municipio delle “Torri”, Ostiense e Laurentino. È questa
la porzione di Roma più pericolosa. L’Ingv ha classificato tutta
quest’area come zona sismica 2, in una scala da 1 a 4, nella quale la
zona 1 è intesa come quella in cui c’è il rischio che si verifichi un
terremoto di maggiore intensità. I sismologi hanno sfatato anche la
credenza diffusa secondo la quale il terreno tufaceo e ricco di cave su
cui sorge la Capitale metta al riparo dalla propagazione di una violenta
onda sismica. È vero esattamente il contrario: se si verificasse un
terremoto con epicentro vicino a Roma, la conformazione del suo
sottosuolo aumenterebbe il rischio del crollo degli edifici.
Nel marzo del 2003, sull’onda emotiva del sisma di San Giuliano di
Puglia, la Presidenza del Consiglio dei ministri decise di uscire
dall’immobilismo, emanando un’ordinanza con cui si introduceva un
elaborato di riferimento per la riclassificazione sismica a livello
nazionale. In base a questi parametri la Regione Lazio rese sismico il
98,4% dei suoi comuni, rispetto al 73,5% della precedente
classificazione del 1983, con un aumento considerevole di quelli passati
in zona 1 e 2. Nel 2006 la Presidenza del Consiglio dei ministri, in
collaborazione con l’Ingv, aggiornò i criteri che ciascuna Regione
doveva seguire per la riclassificazione. «L’appartenenza di un comune a
una zona sismica – si legge nell’ordinanza – deve essere definito
tramite il parametro dell’accelerazione massima al suolo, su suolo
rigido; svincolando la classificazione dal criterio politico del limite
amministrativo utilizzato fino ad ora». Questa la ragione per la quale
il territorio del comune di Roma è stato riclassificato seguendo la sua
suddivisione in municipi (all’epoca erano 19). I risultati di questo
lavoro congiunto tra l’Istituto di geofisica e la Protezione civile sono
contenuti nella delibera della Giunta regionale del Lazio del 22 maggio
2009. «Non ha senso considerare il territorio del Comune di Roma come
unica zona sismica – spiega la relazione tecnica allegata alla delibera –
La sua estensione areale è quella di maggiore entità della Regione
Lazio e la gran parte dei suoi 19 municipi hanno un’estensione
superficiale superiore alla media dei comuni della Regione. Anche la
popolazione, e quindi i relativi investimenti produttivi e sociali, è
superiore, per ogni municipio, a moltissimi dei restanti comuni del
Lazio.
Dall’analisi della sismicità storica, inoltre, si evidenzia che i
danneggiamenti risentiti dalle costruzioni durante gli eventi sismici
sono variabili, eterogenei e diseguali nelle diverse zone del territorio
romano». Così, se nel 2003 l’intero territorio del Comune di Roma era
stato classificato in zona 3, nel 2009 alcuni dei suoi municipi hanno
visto incrementare il livello di pericolosità sismica, passando in zona 2
e sottozona B. Si tratta nello specifico dei municipi che, secondo la
vecchia denominazione, andavano dal V al XII e che ora, in base alla
modifica della numerazione apportata nel 2013 dal Consiglio capitolino,
vanno dal municipio IV al IX. Tutti gli altri, invece, rientrano nella
zona sismica 3 e nella sottozona A. «Il territorio del Comune di Roma –
si legge nella relazione tecnica sulla nuova classificazione sismica del
Lazio – è interessato da valori di accelerazione di gravità
estremamente differenti fra la zona costiera (Ostia) e le zone
prossimali ai Colli Albani o ai Monti Tiburtini e Prenestini».
Fonte: Il Tempo
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